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Partorire con il suono

  • Immagine del redattore: Agnieszka Gocel
    Agnieszka Gocel
  • 4 set 2014
  • Tempo di lettura: 5 min

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Frédérick Leboyer, padre della nascita senza violenza e la sua proposta per le mamme in attesa.

E’ un peccato che la generazione delle neo madri del ventunesimo secolo spesso non conosca il nome, ma soprattutto la ricchezza e la semplicità di quanto F. Leboyer, medico francese molto celebre negli anni settanta, abbia fatto e scritto nei suoi libri, per restituire al

neonato e alla madre tutta la grandiosità, la potenza e la sacralità del nascere e del partorire.

Si è ormai dimenticato che grazie a lui (dopo il messaggio che già aveva lanciato Maria Montessori, ma sempre rimasto nell’ombra) il neonato ha finalmente trovato ad accoglierlo, almeno in buona parte dei casi, operatori consapevoli del fatto di avere di fronte un essere che prova sensazioni e che registra in tutte le sue sfumature l’impatto dell’ingresso in un mondo totalmente nuovo.

Per chi non ne sapesse nulla o avesse idee confuse da luoghi comuni poco corretti, come ad esempio quello che lui sia il sostenitore del parto nell’acqua, è forse necessario riprendere con esattezza alcune delle sue principali provocazioni o dichiarazioni apparse nei suoi libri.

Innanzitutto ricordiamo che all’apparire del suo primo libro “Per una nascita senza violenza”, nel mondo medico si gridò allo scandalo per aver sostenuto la necessità del taglio ritardato del cordone ombelicale, recepito dalla scienza come un attentato alla salute del bambino, anche se, qualsiasi persona di buon senso, avrebbe facilmente potuto intuire la saggezza della natura che mette a disposizione del nuovo nato una doppia respirazione, in modo da garantire l’utilizzo dell’ossigenazione placentare laddove la respirazione polmonare non si sia ancora correttamente instaurata.

Dopo più di trent’anni, la pratica di aspettare almeno qualche minuto (anche se negli ospedali non sempre accade) è finalmente stata introdotta e per alcuni è diventata prassi, ma non è stato facile accettare questa visione pionieristica.

Da qui un altro passaggio, forse dimenticato. E’ sempre ad opera di Leboyer l’aver cominciato a far circolare in occidente la proposta dello yoga pre parto, in alternativa al vecchio metodo del training autogeno respiratorio, che peraltro non ha mai dato grandi risultati nella conduzione del travaglio. Così è sempre a partire dalla pubblicazione del suo libro sul massaggio indiano per i neonati, che in Europa ha cominciato a diffondersi ampiamente l’idea della validità di massaggiare i piccoli, anche grazie al supporto teorico che in quegli anni venne fornito dagli studi dell’etologia da personalità come Ashley Montagu e Desmond Morris. Oggi il massaggio neonatale è proposto attraverso un ventaglio di offerte così diverse e ampliate, che è quasi svanito il ricordo del primo promotore e “importatore” di questa tecnica.

Ma mentre lo yoga prendeva piede (e così altri tipi di lavori sulla consapevolezza del corpo di cui la donna avverte tutte le grandi trasformazioni durante la gravidanza), Leboyer, un po’ in sordina - in quanto già si era ritirato dal suo mestiere di medico per dedicarsi alla scrittura, e alle arti – elabora e porta a compimento quella che per lui rappresentava, all’inizio degli anni ottanta, e rappresenta ancora oggi, la sua intuizione più geniale come proposta di preparazione al parto.

Si tratta del suono legato al respiro, una pratica che ha impropriamente circolato col nome di “canto carnatico”, nome proprio della musica classica dell’India del sud. E’ questo il suo ultimo grande insegnamento, grande nella sua semplicità ed essenzialità, come d’altra parte tutte le sue proposte.

L’idea scaturisce da una semplice riflessione: la donna in travaglio ha un solo compito, quello di lavorare attivamente e di concerto con le contrazioni, questa enorme forza che la attraversa e alla quale non può né sfuggire, né contrapporsi. E’ quella del travaglio una energia enorme che lei deve far scorrere. E’ da qui che il pensiero di Leboyer inizia a indagare nelle grandi tradizioni che hanno sviluppato pratiche che contemplino l’impiego dell’energia umana. Tra queste sicuramente ci sono le arti marziali cinesi e giapponesi. Leboyer si ritrova immediatamente a considerare che in queste forme di combattimento non c’è mai forza bruta, ma un intelligente uso dell’energia, che permette di compiere azioni notevoli anche ad anziani maestri dal fisico poco robusto. In queste forme marziali, il lavoro del corpo è centrato su movimenti continui e dinamici, non violenti, ma che veicolano energia, spesso accompagnati dall’emissione di un suono fatto con la voce, il Kiai.

Da qui ha inizio tutta la sua attenta osservazione dei rapporti tra suono, respiro, energia e movimento della colonna vertebrale e del bacino.

La proposta che lui personalmente confeziona per le donne in gravidanza è quella di facili esercizi fisici e di alcuni movimenti da eseguire sedute su una sedia, dove la colonna vertebrale lavora comodamente, ma incessantemente su torsioni e allungamenti, insieme a una costante attenzione a risvegliare nel bacino un movimento basculante, principale responsabile del sostegno e delle correzioni da apportare alla colonna vertebrale per potere aprire nuovamente il respiro del ventre, quello che tutti i bambini hanno e che si perde via via negli anni per vari motivi.

Per finire il canto. Anche qui è necessario dissipare i preconcetti che possono nascere intorno all’idea che una donna in travaglio possa cantare.

Il canto per Leboyer non è altro che una forma di kiai che si sposa perfettamente con il movimento del corpo, con l’accompagnare le contrazioni e rappresenta per la donna la possibilità di esprimersi e di lamentarsi durante il travaglio. Non un lamento fine a se stesso, ma una espressione di energia che al tempo stesso consola e sostiene, restituendo forza, ma soprattutto permettendo alla donna di respirare e di farlo nel modo corretto, con il ventre e non con il petto, sciogliendo il crampo della contrazione, che risulterà molto più sopportabile.

In conclusione non si tratta quindi che di una nuova forma di impiego del respiro per il travaglio di parto, assolutamente rivoluzionaria in quanto sorpassa le questioni che hanno reso poco praticabili e soprattutto di poco aiuto, le tecniche respiratorie in uso nelle varie forme di preparazione al parto conosciute sino ad ora. Spesso queste ultime si sono rivelate di difficile impiego durante il travaglio, perché troppo artificiose, in un momento in cui le tecniche non possono essere facilmente recuperate. La voce sì, è uno strumento istintivo quando si prova dolore e se questa voce sa di poter emettere suono a lungo, ha automaticamente operato quel ribaltamento indispensabile perché la contrazione venga accompagnata da una lunga espirazione, la sola fase respiratoria che può distendere la muscolatura e alleggerire la sensazione del crampo doloroso.

Uno strumento semplicissimo, dove la voce sostiene e allunga l’espirazione, e il gioco è fatto, ma è così semplice, che come tutti i messaggi di Leboyer appare un vezzo strano e lo si interpreta spesso erroneamente, o forse i tempi, anche dopo 25 anni dalla comparsa di questa proposta, sono ancora prematuri.

Per chi volesse saperne di più rimando alla lettura dell’ultimo libro pubblicato da Leboyer la scorsa primavera e intitolato “L’arte di partorire” Edizioni RED, che contiene oltre alle testimonianze di donne che in varie parti del mondo hanno potuto partorire con il canto, anche un CD con la musica e gli esercizi.

Ostetrica Letizia Galiero

 
 
 

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